martedì 27 maggio 2014

PARZIALE RESURREZIONE PER ANASTACIA


"Resurrection" è il titolo del nuovo lavoro di Anastacia, che arriva dopo le turbolente vicissitudini di salute che l'hanno vista sua malgrado protagonista negli ultimi tempi (la cantante è stata operata per la seconda volta di cancro al seno). A onor del vero però il titolo inneggia ad una rinascita che, almeno per quanto riguarda il punto di vista musicale, c'è stata solo in parte. Intendiamoci: il disco è più che valido (specie se confrontato con l'album di cover dato alle stampe qualche tempo fa o, peggio ancora, con l'orribile precedente lavoro di inediti "Heavy Rotation") tuttavia nei 10 nuovi brani proposti - 14 per quanto concerne l'edizione deluxe - non se ne trova neanche uno in grado di continuare il meraviglioso discorso intrapreso con i primi grandi successi del tipo "I'm outta love", piuttosto che "One day in your life"... Certo, si tratta comunque di buone canzoni che, nel caso specifico di "Lineline" e "Apology" sono da pelle d''oca (per non parlare della vibrante slow version de "Left outside alone - part II") ma nella maggior parte delle tracce, da "Evolution" a "Staring at the sun", passando per il singolo di lancio "Stupid little things", ritmo e sentimento si alternano senza eccellere, fatta eccezione, ovviamente, per la sua sempre portentosa voce. L'impressione finale è che Anastacia abbia raccontato molto di se e del suo percorso di sofferenza a scapito di un'energia e di una spensieratezza che avevano invece caratterizzato le prime hit in precedenza elencate. Per questo, benché il suo ritorno sia più che gradito e l'album sia assolutamente promosso, l'ascolto di "Resurrection" genera comunque un amarognolo retrogusto.

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Il video di "Stupid little things", girato in Nevada, protagonista Anastacia
(Chicago USA, 17 settembre 1968, Vergine) 




















Sito ufficiale: WWW.ANASTACIA.COM

lunedì 24 febbraio 2014

SANREMO 2014: TREMENDO,TERRIFICANTE, TERRIBILE!

Cosa mi fossi fumato lo scorso anno per parlar bene di Fazio e della Littizzetto, Dio solo lo sa… In effetti, ora che sono rinsavito, mi rendo conto di come questa coppia – impropriamente paragonata ai mitici Vianello / Mondaini – e nuovamente al timone della manifestazione canora più importante di sempre, vada un tantino ridimensionata. Lui ha la presenza scenica di un invertebrato, la faccia da tonto e battute talmente buoniste da far sembrare DJ Francesco un criminale di prima categoria; lei, una sorta di Cita dei giorni nostri con tanto di decolorazione, voce stridula e parlata volgare, neanche quando presentava i vari cantanti/direttori d’orchestra ha smesso per un secondo di fare la deficiente. E li hanno pure pagati per rovinare quel che già restava del Festival. Ma veniamo alla manifestazione in se: come lo scorso anno due brani per cantante, uno dei quali inutile, poiché immediatamente eliminato per far sì che il prescelto (attraverso il televoto) potesse accedere di diritto alla finale. Geniale come la gente sappia scegliere i capolavori: le uniche canzoni davvero belle, “Invisibili” di Cristiano de André, “Un abbraccio unico” di Ron e “Un uomo è vivo“ di Frankie HI NRG MC sono state fatte fuori al primo colpo. De Andrè si è rifatto con il premio della critica specializzata, che ha voluto sottolineare la profondità di una canzone neanche troppo vagamente in stile Gotye. Comunque, oltre a questi brani, qualcosa di decente si è sentito: gli ironici Perturbazione, Riccardo Sinigallia (poi escluso perché il brano presentato era già stato eseguito, condizione secondo regolamento inaccettabile), l’allegria di Giuliano Palma, con una canzone molto ‘Nina Zilli style’, Noemi, Giusy Ferreri in cerca di rilancio… ma alla fine a spuntarla è stata Arisa, con “Controvento”, pezzo indubbiamente fischiettabile ma davvero bruttino, specie se paragonato all’ottima “La notte”, con cui Rosalba (Pippa, n.d.r., il vero nome di Arisa) arrivò seconda due anni fa. A mandarla in vetta, dato che le prime proiezioni davano in testa il favorito della vigilia Francesco Renga (votatissimo dal pubblico a casa, femminile soprattutto), ci ha pensato la giuria di “qualità”, capitanata nientemeno che da un regista cinematografico: Paolo Virzì. Eppure qualcosa devono averci capito se hanno evitato che il riccioluto marito di Ambra si accaparrasse la prestigiosa statuetta per la seconda volta; proprio lui, un tempo vocalist di una rock band di quelle con gli attributi, i gloriosi Timoria, ora invitato in diretta da Kekko Silvestre ad aprire i concerti dei Modà; che triste destino! E Antonella Ruggiero, cosa c’entrava con il Festival? Da quando ha abbandonato i Matia Bazar ci è tornata ripetutamente; peccato che invece che portarci buone canzoni ogni volta pare intenzionata più che altro a dimostrare quali straordinari vocalizzi sia in grado di fare con il risultato che, quest’anno in modo particolare, i pezzi proposti fossero davvero orrendi. Vien quindi da chiedersi: con delle canzoni simili che mercato può avere una come lei nell’attuale panorama musicale italiano? Risposte a cui solo Fazio potrebbe rispondere dato che, a quanto pare, l’ha insistentemente voluta fra i partecipanti. E il caro Fabio, che prima dell’inizio della kermesse andava sbandierando un po’ ovunque la sua intenzione di riportare i giovani al Festival, fra gli altri ha chiamato sul palco – udite, udite – le redivive Gemelle Kessler e il mago Silvan!! In effetti mio nipote, che è in terza media e proprio in quei giorni doveva svolgere una ricerca sui fossili, prontamente avvertito si è subito sintonizzato su Raiuno. Fra gli altri superospiti, più o meno di dubbio gusto, almeno ci è stato dato di sentir cantare Cat Stevens, ora Yusuf: certo anche lui non è di primo pelo, ma a uno che ha scritto “Father and Son” si perdona tutto. E poi almeno si regge ancora in piedi senza particolari difficoltà! In scena, altro punto dolente, anche Claudio Baglioni e Luciano Ligabue, con un medley di loro successi. Ma perché, mentre altri cantanti di tutto rispetto se la giocano partecipando alla gara, i due succitati vengono invitati in qualità di guest star relegando automaticamente gli altri performers a cantanti di serie B? Ligabue poi cosa c’entrava? Lui che proviene dal Festivalbar? Mistero, come profetizzò Enrico Ruggeri in quel buon Sanremo Baudesco (Pippo: we want you back!) del 1993. Non è andata meglio la serata dedicata ai duetti, dove si è deciso di omaggiare la canzone italiana in generale. Forse, data la sede, sarebbe stato più opportuno omaggiare il Festival e i tantissimi brani che negli anni ne hanno costruito la storia invece che sentire riletto Paolo Conte o “Il mare d’inverno” della Bertè. Oltretutto qualcuno avrebbe dovuto spiegare (sempre a Fazio) che il mondo musicale è andato avanti alla grande anche dopo “Il cielo in una stanza” di Gino Paoli, altra cariatide, o a scelta guest-star ammuffita di turno. Non che si voglia à tutti i costi parlare male del Festival, è proprio che quest’anno - al di là della mancanza di fiori, degli operai contestatori e della scenografia un po’ troppo scura - ha fatto davvero pietà! Alla fine, dicevo, ha vinto Arisa con “Controvento”. E Fazio che, mentre lei la eseguiva, goffamente le si è avvicinato applaudendo a tempo di musica come a voler coinvolgere tutti quanti un una gran festa che purtroppo c’è stata solo nella sua testa. Ma forse se ne è reso conto lui stesso quando ha visto che gli indici di ascolto hanno segnato un crollo di oltre tre milioni di telespettatori.

Cristiano de Andrè, (Genova, 29 dicembre 1962, Capricorno), figlio del compianto Fabrizio (e non come potrebbe sembrare guardandolo di Richard Benson) interpreta "Invisibili", una delle poche vere belle canzoni di quest'anno. La canzone, ingiustamente eliminata dalla serata finale, ha poi conquistato il prestigioso Premio della Critica. 

mercoledì 29 gennaio 2014

GOODBYE???

Oggi ho avuto le lacrime agli occhi… un po’ perché sarebbe il compleanno di mia mamma che da ormai quasi 30 anni non c’è più, un po’ perché ho saputo che un ragazzo che ho conosciuto circa due anni fa, neanche tanto bene per la verità, se ne va via dalla Svizzera per aprire un ‘baretto’ a Rimini. Questa notizia mi ha rattristato, non tanto per lui in se, ma perché - once again - mi fa capire che tutto è costantemente in movimento, quindi in bilico e non c’è, ahimè, niente di definitivo... concetto assai difficile da digerire quando per poter stare davvero tranquilli a questo mondo ci sarebbe bisogno di maggior stabilità! Ma, come è già stato detto: ‘del doman non v’è certezza’… E neanche dell’oggi, aggiungo io a questo punto! ;-) Comunque, quando ho conosciuto il ragazzo di cui sopra stavo rientrando in pista da una pericolosa ‘sbarellata’ durata tanto tempo e talmente sofferta da costringermi a ‘misure estreme’ per rimettermi in carreggiata. Anyway: ho iniziato con un caffè d’orzo dopo il nuoto al Bar L. (posto che già frequentavo da una vita), ho ripreso a cercare un contatto con gli altri, un giorno uno sguardo, un giorno un parola in più e piano piano ci si rimette anche da un’esperienza terribile. Posso dire adesso che anche quella è diventata un ricordo… e questo mi rende gli occhi lucidi, non certo per il dissolversi di un periodo nerissimo, bensì per le piccole tenui luci che andavano ritornando nella mia vita attraverso, appunto, la ricostruzione del rapporto con il mio prossimo, camerieri inclusi. Queste sfumature le ricorderò con tenerezza. Poi Daniel, questo è il nome del ragazzo, fu licenziato ma io intanto ero/sono tornato in grado di rapportarmi al mondo esterno come ho sempre fatto prima dell’ ‘incidente’. In seguito l’ho rivisto in una discoteca, il blu Martini e quindi quest’oggi, quando mi ha comunicato della sua partenza. Dopo averlo salutato ho ripensato al periodo di cui sopra, ai primi bagni al lido esterno, al rientro il tardo pomeriggio nei sobborghi della città... Mi rendo ben conto che è tutto passato e che sono nuovamente proiettato verso le mie ‘mete favorite’ ma, come per tutte le cose, faccio fatica a ‘lasciar andare’, anche se si tratta dei più brutti/difficili mesi della mia vita. Dicevo: ‘faccio fatica a lasciare andare’; immagino perché vorrei essere eterno, o più semplicemente perché non vorrei essere mai solo, quindi mi affeziono alle persone, alle cose, ai momenti e mi manca una vera famiglia, un nucleo... o forse per entrambi i motivi! Ma poi, mi chiedo, esiste davvero quello che vado cercando come fosse l’isola che non c’è? Ad ogni modo so che non dimenticherò mai questo giovane, così com’è successo nei confronti di tutto ciò che durante la mia esistenza mi ha in qualche modo colpito! Magari non ci rivedremo più, oppure un giorno incrocerò il suo sguardo in quel di Rimini e berrò al suo bar di ritorno da qualche spiaggia… oppure ancora ci si rincontrerà a Lugano, chi lo sa!? Del resto preferisco lasciare aperte le possibilità di un nuovo incontro piuttosto che avere una visione tragicamente definitiva e fin troppo ‘De Amicisiana’ del tutto (la ‘famosa’ questione degli addii alla libro ‘Cuore’ che in fondo, anche per via di quanto mi è successo, tanto mi hanno influenzato). E poi, a pensarci bene, le vie del Signore sono pur sempre infinite, almeno quelle! 




A PARTIRE DA QUEST'OGGI ESTASICLAMOROSA DIVENTA UN BLOG TOTALMENTE MUSICALE... FORSE! :-) RINNOVO IL MIO AFFETTO PER CHIUNQUE PASSERÀ DI QUI E MI PENSERÀ ALMENO UN PO'!


                                LUCA                                 

venerdì 29 novembre 2013

MUSIC REVIEWS: CELINE DION, LADY GAGA, ROBBIE WILLIAMS, PABLO MENEGUZZI, JOHN LEGEND

CELINE DION – LOVED ME BACK TO LIFE
Ne è passata di acqua sotto i ponti da “A new day has come” (“2002) e Céline Dion, dopo qualche album in francese e qualche ‘progetto alternativo’, torna a proporre un intero cd di inediti in lingua inglese. Peccato che il risultato sia scontato come una giornata fredda il mese di dicembre: solita voce (bellissima, per carità), soliti testi tanto strappalacrime da disgustare persino la Pausini e solita pessima cover (stavolta si tratta di “Overjoyed”) che la cornacchia… oops, pardon, l’usignolo del Quebec, canta insieme all’interprete originale, Stevie Wonder.




LADY GAGA - ARTPOP
Dopo il pluridecorato ma pessimo “Born this Way”, Stephanie Joanne Germanotta alias Lady Gaga torna in pista con questo ambizioso “Artpop”, che decisamente gli è superiore anche se, a onor del vero, non paragonabile al mitico “The Fame”, con cui ha esordito quattro anni fa. 15 brani più o meno tutti godibili, con picchi verso l’alto per l’ipnotica canzone che dà il titolo al lavoro, per “Gypsy”, l’allegra “Donatella“ (dedicata alla Versace) e, naturalmente, il duetto con R. Kelly “Do what you want”, forse l’episodio più riuscito dell’intero cd. Trascurabile il singolo “Artpop”, così come non lasciano il segno altri pezzi quali “Venus” oppure il lento “Dope”; peggio ancora se Gaga si mette a rappare (come nella traccia numero 6). Bénché non stia andando bene il disco è comunque più che piacevole, anche se va detto che la popstar si autocita un po’ troppo (la succitata “Do what you want”, per esempio, ricorda molto da vicino il suo cavallo di battaglia “So happy I could die”). Per non parlare delle idee scippate qua e là alla rivale Madonna, che culminano in plagi più o meno evidenti (nel caso di “Fashion/Holiday”, assolutamente evidenti!). E a proposito: chi pensava che Gaga fosse la nuova Ciccone a questo punto non potrà che ricredersi: è forte ma siamo davvero su due pianeti diversi.



ROBBIE WILLIAMS – SWING BOTH WAYS
Dopo l’album “Take the Crown” (2012) e un tour che lo ha portato un po’ ovunque ritemprando un filino la sua immagine di popstar, l’(ancora) ex-Take That Robbie Williams torna a cimentarsi con un album di classici così come magistralmente fece nel 2001, diventando attraverso “Swing when you're Winning”, uno dei casi musicali del periodo. Questo “Swing both Ways”, va chiarito subito, è qualitativamente inferiore ma è comunque un ottimo album dove, fra le altre cose (e per fortuna), Robbie torna a collaborare con quel Guy Chambers che gli ha co-prodotto alcune fra le sue più belle canzoni e che qui, grazie allo strepitoso singolo “Go Gentle”, fra nuovamente centro. Il resto del disco si gioca su avvincenti duetti (con Michael Bublé, piuttosto che con Lily Allen o Rufus Wainwright) e classici senza tempo (“Putting on the Ritz”, giusto per citare).  La differenza principale rispetto a “Swing when you’re winning”, inciso quando Williams era poco più che un pivello, è che adesso questo repertorio gli è più consono per età; questo però è anche il motivo per cui viene a mancare il folgorante elemento sorpresa che, insieme alla scelta dei brani, fece la fortuna del primo episodio.



PABLO MENEGUZZI - ZERO
Meneguzzi ha lo straordinario dono della profezia: è infatti riuscito ad intitolare il suo album azzeccando in pieno il numero di copie che avrebbe venduto! Scherzi a parte, in questo suo nuovo lavoro, che il cantautore descrive intimo a tal punto da decidere di tornare a chiamarsi con il suo vero nome, troviamo diversi brani che in verità non si discostano molto dal repertorio cui ci ha abituati, sia per quanto concerne le parole sia per le musiche. Un vero peccato poiché a testi adolescenziali e suoni di facile presa potrebbero subentrare canzoni di maggior spessore che, date le indubbie qualità canore del giovane, gli garantirebbero più credibilità e probabilmente anche un pubblico trasversale, fatto non solo di ragazzine. Una curiosità: l'album non è stato reso disponibile sui principali portali ma va acquistato in negozio.



JOHN LEGEND - LOVE IN THE FUTURE
Al giorno d'oggi quando si dice soul si pensa immediatamente a John Legend e non è certo un caso, poiché il cantante americano (nato a Springfield, Ohio, nel 1978), tale credibilità se l'è costruita guadagnandosi la stima di critica e pubblico album dopo album. In questo nuovo "Love in the Future", ispirato per sua stessa ammissione dalla storia d'amore con l'adorata moglie, l'anima di Legend emerge in modo ancor più intenso ("All of me"), romantico, ("Made to love") passionale ("Save the night"), il tutto grazie a testi profondi e a musiche talvolta scarne/essenziali ma comunque avvincenti e, al solito, intrise di sensuale R&B ed impreziosite dal gioco pianoforte-voce (particolarmente calda) che da sempre contraddistinguono questo artista. Nell'edizione deluxe c'è anche un duetto con Seal.

martedì 22 ottobre 2013

MUSIC REVIEWS: PEARL JAM, STING, CHER, PLACEBO, TRAVIS, ONEREPUBLIC, ELTON JOHN, KINGS OF LEON

PEARL JAM – LIGHTNING BOLT
Una certa critica rimprovera ai Pearl Jam di essersi allontanati un po' troppo dalle sonorità particolarmente dure degli esordi, culminate in quello che viene considerato il loro capolavoro: l'album “Ten”. In realtà, benché il sound si sia in effetti ‘ammorbidito’, anche in seguito hanno dato alle stampe dischi di indubbio valore, basti pensare all’ottimo “Backspacer” (2009). Questo “Lightning Bolt”, che ne è il seguito, mette insieme i due aspetti di questa band: quello poderosamente rock con quello più intimista e d’atmosfera. Il risultato è sicuramente buono e il disco funziona, anche se a tratti si ha l’impressione che, trattandosi di un'istituzione come loro, si poteva fare qualcosa in più.



STING -  THE LAST SHIP
Dieci anni di attesa perché, dice lui, mancava l’ispirazione. Sting, sempre più vecchio e più saggio, ritorna ora con un album intenso, nel quale si percepisce un grande senso di nostalgia per la vita che passa, concetto che (come dargli torto), deve pesargli non poco. Pensato per un musical, “The last ship” è un disco molto suonato, dove strumenti antichi ed intense melodie si alternano a violini e cori folkloristici in un mix dal sapore realmente teatral-cinematografico. D'altra parte queste erano le intenzioni. Si tratta di un cd ‘gitano’, anche se spesso totalmente privo dell’elemento 'divertissement', che però in effetti ti permette di salpare verso mari lontani con l’impressione, a tratti angosciante, che si tratti di un viaggio senza ritorno. Una metafora della nostra esistenza? Ad ogni modo valido, anche se un po’ ostico.



CHER – CLOSER TO THE TRUTH
Dopo undici anni dall'ultimo album di inediti, Cher ritorna con un nuovo lavoro dove a farla da padrone, nuovamente, è il pop simil-‘Believe’ che le ha ridato una seconda giovinezza in termine di vendite. Avvalendosi della collaborazione di Paul Oakenfold (autore del non troppo riuscito brano di lancio “Woman’s World), dell'immancabile Diane Warren e addirittura di P!nk (che le regala ben due brani), questa leggenda vivente dimostra, alla veneranda età di 67 anni, di avere ancora una voce capace di incantare (basti acoltare “Sirens” e/o la cover di Miley Cyrus “I hope you find it”), oltre ad un’immagine assolutamente irresistibile (alla faccia dei mille lifting!). La parte dance, pur discreto-buona, è sicuramente meno intensa di quella dedicata alle ballads, dove l’artista dà il suo meglio, ma nel complesso il disco - specie se confrontato con alcuni suoi memorabili albums del passato (“It’s a man’s world”, “Heart of Stone”) - non è granchè.



PLACEBO – LOUD LIKE LOVE
Questo nuovo lavoro dei Placebo è la dimostrazione che non sono solo i loro due primi album a dover essere ritenuti validi. Partendo infatti dal singolo “Too many friends” e proseguendo in tutte le altre tracce, il gruppo snocciola un totale di 10 brani in bilico fra atmosfere gotico-dance alla Depèche Mode/Sonic Youth e rock elettronico dall’eco metallico tanto quanto la voce di Brian Molko. Difficile scegliere i pezzi migliori, forse i lenti, come: "Beginning the end" e/o "Bosco", lunghi e particolarmente emozionanti; ma anche l'energia profusa in quelli più veloci ("Scene of the crime", n.d.r.) ha un suo valore. E non vi è dubbio che il colore che rappresenta meglio questo disco è il grigio: un po' deprimente ma perfetto per le giornate autunnali.



TRAVIS – WHERE YOU STAND
Sono ormai piuttosto lontani i fasti del video di “Sing”, che li ha lanciati per davvero, piuttosto che quelli dei brani d'esordio del tipo “What does it always rain on me”, eppure i Travis – ad ogni nuovo album – riescono ad essere raffinati e ad incantare l’ascoltatore con un genere che non stanca mai: quel british pop-rock carico di atmosfere rarefatte e rime intelligenti che (quasi) solo loro sanno ormai proporre. Forse non proprio tutti i brani sono riuscitissimi ma questo “Where you stand”, di classe anche per quanto concerne la copertina e l’artwork all’interno del cd, contiene almeno 2 gioielli: la traccia numero 7 “A different room” e, per chi acquista la versione deluxe (completata da alcune esibizioni live), il brano “Anniversary”.



ONEREPUBLIC – NATIVE
Uscito già da qualche mese, questo nuovo lavoro del gruppo di “Apologize” viene ora ricatapultato nelle zone alte delle chart grazie all’ottimo terzo estratto “Counting Stars*”, tra l’altro fresco numero uno delle classifiche inglesi davanti ad una sfilza di nomi di grosso calibro. Successo tutto meritato perché in effetti  trattasi di un disco ben confezionato, dalla prima canzone all’ultima. Il genere è un buon pop-rock melodico made in USA, che non disdegna incursioni nell’elettronica. I testi sono curati e mai banali (come recita il titolo si cerca di risalire all’essenza/primordialità delle cose) e gli arrangiamenti, pur scarni se confrontati con certe produzioni americane odierne, comunque efficaci. Il tema portante del lavoro potrebbe essere una sorta di ‘terra selvaggia’, idea nella quale - peraltro - l'attuale sound del gruppo si colloca davvero molto bene.




ELTON JOHN - THE DIVING BOARD
Dalla fine degli anni '80 in poi un lungo periodo dedicato agli eccessi ed al trash (culminato con un inquietante duetto insieme a RuPaul) poi, nel 2001, la rinascita, grazie allo splendido "Songs from the West Coast", cui hanno fatto seguito gli altrettanto validi "Peachtree Road" (2004) e "The Captain & The Kid" (2006). Ora, quale ulteriore conferma della ritrovata 'retta via', è la volta di "The Diving Board", in cui il mitico Reginald collabora insieme al fido paroliere di sempre: quel poeta di Bernie Taupin (colui che, giusto per intenderci, gli ha regalato i testi più memorabili della sua lunga carriera). Al solito ne esce un album malinconico eppure gioioso, intimo e toccante, all'insegna della buona musica e di tanti concetti profondi che favoriscono la riflessione. Il tutto accarezzato dalla melodia del suo piano, unico protagonista in tre pezzi strumental-sperimentali intitolati "Dream". Serie A.




KINGS OF LEON - MECHANICAL BULL
Il sesto album dei Kings of Leon, è quanto di meglio si possa trovare sulla scena musicale rock al momento. 11 tracce (13 nella versione deluxe) vibranti, tutte validissime e piene zeppe di emozioni, come peraltro anticipato dai singoli "Supersoaker" e, soprattutto, "Wait for me".  Anche in questo caso, come per altri artisti, la scelta - se di scelta si può parlare - è quella di alternare brani dal piglio veloce e 'chiassoso' ad altri più lenti e morigerati, sempre e comunque valorizzati dalla voce di Caleb Followill. Il sound miscela sapientemente rock, blues e musica cosiddetta 'alternative', intrisa qua e là da echi vintage e in altri casi impreziosita da sonorità più moderne. I testi, spesso romantici altre volte più 'aggressivi', colpiscono nel segno. Insomma: per chi vuole acquistare un gran bel disco che rimarrà nel tempo questa è proprio un'occasione da non perdere.

venerdì 11 ottobre 2013

INGHIOTTITI

Quante sciagure si leggono quotidianamente, specie in questi giorni : guerre, sbarchi non riusciti in quel di Lampedusa, omicidi, rapimenti, violenze... un quadro davvero agghiacciante e, quel che è peggio, immutevole nel tempo dato che in fin dei conti le cose continuano così da che mondo è mondo. Spesso si ha l'impressione, almeno per quanto mi concerne, che per una sorta di spirito di conservazione tutta questa interminabile serie di bruttezze non ci intacchi più di tanto anche perché, essendo all'ordine del giorno, ci ha obbligato, per non impazzire, a crearci degli indispensabili anticorpi emotivi. Eppure recentemente è avvenuta una disgrazia che mi ha affranto come da tempo non accadeva: la tragica scomparsa di un papà col suo bambino di sei anni, avvenuta per colpa del maltempo lo scorso weekend in Toscana. Una famiglia di Berna che sceglie la Maremma per le vacanze autunnali e vi trova la morte. Si faceva sera, avevano appena cenato e stavano rientrando in albergo quando la moglie nota un'enorme massa di acqua e detriti fuoriuscire dal fiume: in pochi istanti il disperato tentativo di salvarsi, lei esce dall'auto e il marito le dice di dirigersi al loro alloggio, dove la raggiungerà con il figlioletto. Tutto si consuma in un attimo: il tempo di lasciare che la donna si liberi e quando si volta per scorgere i suoi cari l'acqua li ha già portati via, inghiottedoli. Solo dopo due giorni li ritroveranno in un enorme mare di fango, lontani l'uno dall'altro alcuni chilometri per giunta, prima il piccino, poi il genitore. C'è da sperare che almeno non abbiano sofferto. Mi chiedo a questo punto cosa si possa aggiungere, cosa di possa dire. Credo di aver capito che la vera felicità, a volte cercata chissà dove o attraverso chissà che cosa, consista in realtà nel trascorrere del tempo con le persone che, al di là di tutta la marea di gente da cui siamo contornati, sono davvero importanti; quelle per le quali conti più di ogni altra cosa e loro contano più di ogni altra cosa per te. Per questo motivo sono scosso e infinitamente triste, dannatamente triste ed inconsolabile al pensiero che simili ingiustizie possano succedere e che una povera donna, nel giro di qualche minuto, abbia perduto tutto il suo mondo. Come si può essere totalmente felici, vorrei sapere, se qualcun altro fatto a nostra immagine e somiglianza è confrontato con un simile dolore? Forse, unico spiraglio di luce nel buio pesto di questa tragedia, dice giusto Giobbe nel capitolo 37: "molte cose restano inaccessibili alla nostra (presunta) intelligenza". In effetti, se così fosse un giorno ci sarà una spiegazione, una risposta anche per ciò che adesso proprio non ce l'ha. Ma più che tutto la signora di cui sopra si ricongiungerà con suo marito e con il suo bambino.


martedì 17 settembre 2013

LA GIUSTA CORNICE

''Cambia l'intensità della luce e l'estate si fa sempre più lontana;
arriva settembre, portando con se venti d'autunno
che più in là ci chiuderanno dentro le case.
D'improvviso, quella canzone ascoltata milioni di volte è ormai passata.
Si fa strada una melodia più tranquilla, più consona, diversa: 
la giusta cornice per questi giorni in cui il melograno è maturo
e il vigore degli alberi pare in qualche modo venir meno.
Riaprono i cancelli delle scuole,
milioni di ragazzi tornano su libri che aiuteranno a forgiare il loro futuro
mentre chi già li ha letti attende speranzoso che i bagliori di Natale
rischiarino un po' l'atmosfera''.

"A Different room" è tratta dal nuovo album dei Travis, intitolato "Where you Stand".