Ne è passata di acqua sotto i ponti da “A new day has come” (“2002) e Céline Dion, dopo qualche album in francese e qualche ‘progetto alternativo’, torna a proporre un intero cd di inediti in lingua inglese. Peccato che il risultato sia scontato come una giornata fredda il mese di dicembre: solita voce (bellissima, per carità), soliti testi tanto strappalacrime da disgustare persino la Pausini e solita pessima cover (stavolta si tratta di “Overjoyed”) che la cornacchia… oops, pardon, l’usignolo del Quebec, canta insieme all’interprete originale, Stevie Wonder.
LADY GAGA - ARTPOP
Dopo il pluridecorato ma pessimo “Born this Way”, Stephanie Joanne Germanotta alias Lady Gaga torna in pista con questo ambizioso “Artpop”, che decisamente gli è superiore anche se, a onor del vero, non paragonabile al mitico “The Fame”, con cui ha esordito quattro anni fa. 15 brani più o meno tutti godibili, con picchi verso l’alto per l’ipnotica canzone che dà il titolo al lavoro, per “Gypsy”, l’allegra “Donatella“ (dedicata alla Versace) e, naturalmente, il duetto con R. Kelly “Do what you want”, forse l’episodio più riuscito dell’intero cd. Trascurabile il singolo “Artpop”, così come non lasciano il segno altri pezzi quali “Venus” oppure il lento “Dope”; peggio ancora se Gaga si mette a rappare (come nella traccia numero 6). Bénché non stia andando bene il disco è comunque più che piacevole, anche se va detto che la popstar si autocita un po’ troppo (la succitata “Do what you want”, per esempio, ricorda molto da vicino il suo cavallo di battaglia “So happy I could die”). Per non parlare delle idee scippate qua e là alla rivale Madonna, che culminano in plagi più o meno evidenti (nel caso di “Fashion/Holiday”, assolutamente evidenti!). E a proposito: chi pensava che Gaga fosse la nuova Ciccone a questo punto non potrà che ricredersi: è forte ma siamo davvero su due pianeti diversi.
Dopo il pluridecorato ma pessimo “Born this Way”, Stephanie Joanne Germanotta alias Lady Gaga torna in pista con questo ambizioso “Artpop”, che decisamente gli è superiore anche se, a onor del vero, non paragonabile al mitico “The Fame”, con cui ha esordito quattro anni fa. 15 brani più o meno tutti godibili, con picchi verso l’alto per l’ipnotica canzone che dà il titolo al lavoro, per “Gypsy”, l’allegra “Donatella“ (dedicata alla Versace) e, naturalmente, il duetto con R. Kelly “Do what you want”, forse l’episodio più riuscito dell’intero cd. Trascurabile il singolo “Artpop”, così come non lasciano il segno altri pezzi quali “Venus” oppure il lento “Dope”; peggio ancora se Gaga si mette a rappare (come nella traccia numero 6). Bénché non stia andando bene il disco è comunque più che piacevole, anche se va detto che la popstar si autocita un po’ troppo (la succitata “Do what you want”, per esempio, ricorda molto da vicino il suo cavallo di battaglia “So happy I could die”). Per non parlare delle idee scippate qua e là alla rivale Madonna, che culminano in plagi più o meno evidenti (nel caso di “Fashion/Holiday”, assolutamente evidenti!). E a proposito: chi pensava che Gaga fosse la nuova Ciccone a questo punto non potrà che ricredersi: è forte ma siamo davvero su due pianeti diversi.
ROBBIE WILLIAMS – SWING BOTH WAYS
Dopo l’album “Take the Crown” (2012) e un tour che lo ha portato un po’ ovunque ritemprando un filino la sua immagine di popstar, l’(ancora) ex-Take That Robbie Williams torna a cimentarsi con un album di classici così come magistralmente fece nel 2001, diventando attraverso “Swing when you're Winning”, uno dei casi musicali del periodo. Questo “Swing both Ways”, va chiarito subito, è qualitativamente inferiore ma è comunque un ottimo album dove, fra le altre cose (e per fortuna), Robbie torna a collaborare con quel Guy Chambers che gli ha co-prodotto alcune fra le sue più belle canzoni e che qui, grazie allo strepitoso singolo “Go Gentle”, fra nuovamente centro. Il resto del disco si gioca su avvincenti duetti (con Michael Bublé, piuttosto che con Lily Allen o Rufus Wainwright) e classici senza tempo (“Putting on the Ritz”, giusto per citare). La differenza principale rispetto a “Swing when you’re winning”, inciso quando Williams era poco più che un pivello, è che adesso questo repertorio gli è più consono per età; questo però è anche il motivo per cui viene a mancare il folgorante elemento sorpresa che, insieme alla scelta dei brani, fece la fortuna del primo episodio.
Meneguzzi ha lo straordinario dono della profezia: è infatti riuscito ad intitolare il suo album azzeccando in pieno il numero di copie che avrebbe venduto! Scherzi a parte, in questo suo nuovo lavoro, che il cantautore descrive intimo a tal punto da decidere di tornare a chiamarsi con il suo vero nome, troviamo diversi brani che in verità non si discostano molto dal repertorio cui ci ha abituati, sia per quanto concerne le parole sia per le musiche. Un vero peccato poiché a testi adolescenziali e suoni di facile presa potrebbero subentrare canzoni di maggior spessore che, date le indubbie qualità canore del giovane, gli garantirebbero più credibilità e probabilmente anche un pubblico trasversale, fatto non solo di ragazzine. Una curiosità: l'album non è stato reso disponibile sui principali portali ma va acquistato in negozio.
JOHN LEGEND - LOVE IN THE FUTURE
Al giorno d'oggi quando si dice soul si pensa immediatamente a John Legend e non è certo un caso, poiché il cantante americano (nato a Springfield, Ohio, nel 1978), tale credibilità se l'è costruita guadagnandosi la stima di critica e pubblico album dopo album. In questo nuovo "Love in the Future", ispirato per sua stessa ammissione dalla storia d'amore con l'adorata moglie, l'anima di Legend emerge in modo ancor più intenso ("All of me"), romantico, ("Made to love") passionale ("Save the night"), il tutto grazie a testi profondi e a musiche talvolta scarne/essenziali ma comunque avvincenti e, al solito, intrise di sensuale R&B ed impreziosite dal gioco pianoforte-voce (particolarmente calda) che da sempre contraddistinguono questo artista. Nell'edizione deluxe c'è anche un duetto con Seal.