venerdì 29 novembre 2013

MUSIC REVIEWS: CELINE DION, LADY GAGA, ROBBIE WILLIAMS, PABLO MENEGUZZI, JOHN LEGEND

CELINE DION – LOVED ME BACK TO LIFE
Ne è passata di acqua sotto i ponti da “A new day has come” (“2002) e Céline Dion, dopo qualche album in francese e qualche ‘progetto alternativo’, torna a proporre un intero cd di inediti in lingua inglese. Peccato che il risultato sia scontato come una giornata fredda il mese di dicembre: solita voce (bellissima, per carità), soliti testi tanto strappalacrime da disgustare persino la Pausini e solita pessima cover (stavolta si tratta di “Overjoyed”) che la cornacchia… oops, pardon, l’usignolo del Quebec, canta insieme all’interprete originale, Stevie Wonder.




LADY GAGA - ARTPOP
Dopo il pluridecorato ma pessimo “Born this Way”, Stephanie Joanne Germanotta alias Lady Gaga torna in pista con questo ambizioso “Artpop”, che decisamente gli è superiore anche se, a onor del vero, non paragonabile al mitico “The Fame”, con cui ha esordito quattro anni fa. 15 brani più o meno tutti godibili, con picchi verso l’alto per l’ipnotica canzone che dà il titolo al lavoro, per “Gypsy”, l’allegra “Donatella“ (dedicata alla Versace) e, naturalmente, il duetto con R. Kelly “Do what you want”, forse l’episodio più riuscito dell’intero cd. Trascurabile il singolo “Artpop”, così come non lasciano il segno altri pezzi quali “Venus” oppure il lento “Dope”; peggio ancora se Gaga si mette a rappare (come nella traccia numero 6). Bénché non stia andando bene il disco è comunque più che piacevole, anche se va detto che la popstar si autocita un po’ troppo (la succitata “Do what you want”, per esempio, ricorda molto da vicino il suo cavallo di battaglia “So happy I could die”). Per non parlare delle idee scippate qua e là alla rivale Madonna, che culminano in plagi più o meno evidenti (nel caso di “Fashion/Holiday”, assolutamente evidenti!). E a proposito: chi pensava che Gaga fosse la nuova Ciccone a questo punto non potrà che ricredersi: è forte ma siamo davvero su due pianeti diversi.



ROBBIE WILLIAMS – SWING BOTH WAYS
Dopo l’album “Take the Crown” (2012) e un tour che lo ha portato un po’ ovunque ritemprando un filino la sua immagine di popstar, l’(ancora) ex-Take That Robbie Williams torna a cimentarsi con un album di classici così come magistralmente fece nel 2001, diventando attraverso “Swing when you're Winning”, uno dei casi musicali del periodo. Questo “Swing both Ways”, va chiarito subito, è qualitativamente inferiore ma è comunque un ottimo album dove, fra le altre cose (e per fortuna), Robbie torna a collaborare con quel Guy Chambers che gli ha co-prodotto alcune fra le sue più belle canzoni e che qui, grazie allo strepitoso singolo “Go Gentle”, fra nuovamente centro. Il resto del disco si gioca su avvincenti duetti (con Michael Bublé, piuttosto che con Lily Allen o Rufus Wainwright) e classici senza tempo (“Putting on the Ritz”, giusto per citare).  La differenza principale rispetto a “Swing when you’re winning”, inciso quando Williams era poco più che un pivello, è che adesso questo repertorio gli è più consono per età; questo però è anche il motivo per cui viene a mancare il folgorante elemento sorpresa che, insieme alla scelta dei brani, fece la fortuna del primo episodio.



PABLO MENEGUZZI - ZERO
Meneguzzi ha lo straordinario dono della profezia: è infatti riuscito ad intitolare il suo album azzeccando in pieno il numero di copie che avrebbe venduto! Scherzi a parte, in questo suo nuovo lavoro, che il cantautore descrive intimo a tal punto da decidere di tornare a chiamarsi con il suo vero nome, troviamo diversi brani che in verità non si discostano molto dal repertorio cui ci ha abituati, sia per quanto concerne le parole sia per le musiche. Un vero peccato poiché a testi adolescenziali e suoni di facile presa potrebbero subentrare canzoni di maggior spessore che, date le indubbie qualità canore del giovane, gli garantirebbero più credibilità e probabilmente anche un pubblico trasversale, fatto non solo di ragazzine. Una curiosità: l'album non è stato reso disponibile sui principali portali ma va acquistato in negozio.



JOHN LEGEND - LOVE IN THE FUTURE
Al giorno d'oggi quando si dice soul si pensa immediatamente a John Legend e non è certo un caso, poiché il cantante americano (nato a Springfield, Ohio, nel 1978), tale credibilità se l'è costruita guadagnandosi la stima di critica e pubblico album dopo album. In questo nuovo "Love in the Future", ispirato per sua stessa ammissione dalla storia d'amore con l'adorata moglie, l'anima di Legend emerge in modo ancor più intenso ("All of me"), romantico, ("Made to love") passionale ("Save the night"), il tutto grazie a testi profondi e a musiche talvolta scarne/essenziali ma comunque avvincenti e, al solito, intrise di sensuale R&B ed impreziosite dal gioco pianoforte-voce (particolarmente calda) che da sempre contraddistinguono questo artista. Nell'edizione deluxe c'è anche un duetto con Seal.

martedì 22 ottobre 2013

MUSIC REVIEWS: PEARL JAM, STING, CHER, PLACEBO, TRAVIS, ONEREPUBLIC, ELTON JOHN, KINGS OF LEON

PEARL JAM – LIGHTNING BOLT
Una certa critica rimprovera ai Pearl Jam di essersi allontanati un po' troppo dalle sonorità particolarmente dure degli esordi, culminate in quello che viene considerato il loro capolavoro: l'album “Ten”. In realtà, benché il sound si sia in effetti ‘ammorbidito’, anche in seguito hanno dato alle stampe dischi di indubbio valore, basti pensare all’ottimo “Backspacer” (2009). Questo “Lightning Bolt”, che ne è il seguito, mette insieme i due aspetti di questa band: quello poderosamente rock con quello più intimista e d’atmosfera. Il risultato è sicuramente buono e il disco funziona, anche se a tratti si ha l’impressione che, trattandosi di un'istituzione come loro, si poteva fare qualcosa in più.



STING -  THE LAST SHIP
Dieci anni di attesa perché, dice lui, mancava l’ispirazione. Sting, sempre più vecchio e più saggio, ritorna ora con un album intenso, nel quale si percepisce un grande senso di nostalgia per la vita che passa, concetto che (come dargli torto), deve pesargli non poco. Pensato per un musical, “The last ship” è un disco molto suonato, dove strumenti antichi ed intense melodie si alternano a violini e cori folkloristici in un mix dal sapore realmente teatral-cinematografico. D'altra parte queste erano le intenzioni. Si tratta di un cd ‘gitano’, anche se spesso totalmente privo dell’elemento 'divertissement', che però in effetti ti permette di salpare verso mari lontani con l’impressione, a tratti angosciante, che si tratti di un viaggio senza ritorno. Una metafora della nostra esistenza? Ad ogni modo valido, anche se un po’ ostico.



CHER – CLOSER TO THE TRUTH
Dopo undici anni dall'ultimo album di inediti, Cher ritorna con un nuovo lavoro dove a farla da padrone, nuovamente, è il pop simil-‘Believe’ che le ha ridato una seconda giovinezza in termine di vendite. Avvalendosi della collaborazione di Paul Oakenfold (autore del non troppo riuscito brano di lancio “Woman’s World), dell'immancabile Diane Warren e addirittura di P!nk (che le regala ben due brani), questa leggenda vivente dimostra, alla veneranda età di 67 anni, di avere ancora una voce capace di incantare (basti acoltare “Sirens” e/o la cover di Miley Cyrus “I hope you find it”), oltre ad un’immagine assolutamente irresistibile (alla faccia dei mille lifting!). La parte dance, pur discreto-buona, è sicuramente meno intensa di quella dedicata alle ballads, dove l’artista dà il suo meglio, ma nel complesso il disco - specie se confrontato con alcuni suoi memorabili albums del passato (“It’s a man’s world”, “Heart of Stone”) - non è granchè.



PLACEBO – LOUD LIKE LOVE
Questo nuovo lavoro dei Placebo è la dimostrazione che non sono solo i loro due primi album a dover essere ritenuti validi. Partendo infatti dal singolo “Too many friends” e proseguendo in tutte le altre tracce, il gruppo snocciola un totale di 10 brani in bilico fra atmosfere gotico-dance alla Depèche Mode/Sonic Youth e rock elettronico dall’eco metallico tanto quanto la voce di Brian Molko. Difficile scegliere i pezzi migliori, forse i lenti, come: "Beginning the end" e/o "Bosco", lunghi e particolarmente emozionanti; ma anche l'energia profusa in quelli più veloci ("Scene of the crime", n.d.r.) ha un suo valore. E non vi è dubbio che il colore che rappresenta meglio questo disco è il grigio: un po' deprimente ma perfetto per le giornate autunnali.



TRAVIS – WHERE YOU STAND
Sono ormai piuttosto lontani i fasti del video di “Sing”, che li ha lanciati per davvero, piuttosto che quelli dei brani d'esordio del tipo “What does it always rain on me”, eppure i Travis – ad ogni nuovo album – riescono ad essere raffinati e ad incantare l’ascoltatore con un genere che non stanca mai: quel british pop-rock carico di atmosfere rarefatte e rime intelligenti che (quasi) solo loro sanno ormai proporre. Forse non proprio tutti i brani sono riuscitissimi ma questo “Where you stand”, di classe anche per quanto concerne la copertina e l’artwork all’interno del cd, contiene almeno 2 gioielli: la traccia numero 7 “A different room” e, per chi acquista la versione deluxe (completata da alcune esibizioni live), il brano “Anniversary”.



ONEREPUBLIC – NATIVE
Uscito già da qualche mese, questo nuovo lavoro del gruppo di “Apologize” viene ora ricatapultato nelle zone alte delle chart grazie all’ottimo terzo estratto “Counting Stars*”, tra l’altro fresco numero uno delle classifiche inglesi davanti ad una sfilza di nomi di grosso calibro. Successo tutto meritato perché in effetti  trattasi di un disco ben confezionato, dalla prima canzone all’ultima. Il genere è un buon pop-rock melodico made in USA, che non disdegna incursioni nell’elettronica. I testi sono curati e mai banali (come recita il titolo si cerca di risalire all’essenza/primordialità delle cose) e gli arrangiamenti, pur scarni se confrontati con certe produzioni americane odierne, comunque efficaci. Il tema portante del lavoro potrebbe essere una sorta di ‘terra selvaggia’, idea nella quale - peraltro - l'attuale sound del gruppo si colloca davvero molto bene.




ELTON JOHN - THE DIVING BOARD
Dalla fine degli anni '80 in poi un lungo periodo dedicato agli eccessi ed al trash (culminato con un inquietante duetto insieme a RuPaul) poi, nel 2001, la rinascita, grazie allo splendido "Songs from the West Coast", cui hanno fatto seguito gli altrettanto validi "Peachtree Road" (2004) e "The Captain & The Kid" (2006). Ora, quale ulteriore conferma della ritrovata 'retta via', è la volta di "The Diving Board", in cui il mitico Reginald collabora insieme al fido paroliere di sempre: quel poeta di Bernie Taupin (colui che, giusto per intenderci, gli ha regalato i testi più memorabili della sua lunga carriera). Al solito ne esce un album malinconico eppure gioioso, intimo e toccante, all'insegna della buona musica e di tanti concetti profondi che favoriscono la riflessione. Il tutto accarezzato dalla melodia del suo piano, unico protagonista in tre pezzi strumental-sperimentali intitolati "Dream". Serie A.




KINGS OF LEON - MECHANICAL BULL
Il sesto album dei Kings of Leon, è quanto di meglio si possa trovare sulla scena musicale rock al momento. 11 tracce (13 nella versione deluxe) vibranti, tutte validissime e piene zeppe di emozioni, come peraltro anticipato dai singoli "Supersoaker" e, soprattutto, "Wait for me".  Anche in questo caso, come per altri artisti, la scelta - se di scelta si può parlare - è quella di alternare brani dal piglio veloce e 'chiassoso' ad altri più lenti e morigerati, sempre e comunque valorizzati dalla voce di Caleb Followill. Il sound miscela sapientemente rock, blues e musica cosiddetta 'alternative', intrisa qua e là da echi vintage e in altri casi impreziosita da sonorità più moderne. I testi, spesso romantici altre volte più 'aggressivi', colpiscono nel segno. Insomma: per chi vuole acquistare un gran bel disco che rimarrà nel tempo questa è proprio un'occasione da non perdere.

venerdì 11 ottobre 2013

INGHIOTTITI

Quante sciagure si leggono quotidianamente, specie in questi giorni : guerre, sbarchi non riusciti in quel di Lampedusa, omicidi, rapimenti, violenze... un quadro davvero agghiacciante e, quel che è peggio, immutevole nel tempo dato che in fin dei conti le cose continuano così da che mondo è mondo. Spesso si ha l'impressione, almeno per quanto mi concerne, che per una sorta di spirito di conservazione tutta questa interminabile serie di bruttezze non ci intacchi più di tanto anche perché, essendo all'ordine del giorno, ci ha obbligato, per non impazzire, a crearci degli indispensabili anticorpi emotivi. Eppure recentemente è avvenuta una disgrazia che mi ha affranto come da tempo non accadeva: la tragica scomparsa di un papà col suo bambino di sei anni, avvenuta per colpa del maltempo lo scorso weekend in Toscana. Una famiglia di Berna che sceglie la Maremma per le vacanze autunnali e vi trova la morte. Si faceva sera, avevano appena cenato e stavano rientrando in albergo quando la moglie nota un'enorme massa di acqua e detriti fuoriuscire dal fiume: in pochi istanti il disperato tentativo di salvarsi, lei esce dall'auto e il marito le dice di dirigersi al loro alloggio, dove la raggiungerà con il figlioletto. Tutto si consuma in un attimo: il tempo di lasciare che la donna si liberi e quando si volta per scorgere i suoi cari l'acqua li ha già portati via, inghiottedoli. Solo dopo due giorni li ritroveranno in un enorme mare di fango, lontani l'uno dall'altro alcuni chilometri per giunta, prima il piccino, poi il genitore. C'è da sperare che almeno non abbiano sofferto. Mi chiedo a questo punto cosa si possa aggiungere, cosa di possa dire. Credo di aver capito che la vera felicità, a volte cercata chissà dove o attraverso chissà che cosa, consista in realtà nel trascorrere del tempo con le persone che, al di là di tutta la marea di gente da cui siamo contornati, sono davvero importanti; quelle per le quali conti più di ogni altra cosa e loro contano più di ogni altra cosa per te. Per questo motivo sono scosso e infinitamente triste, dannatamente triste ed inconsolabile al pensiero che simili ingiustizie possano succedere e che una povera donna, nel giro di qualche minuto, abbia perduto tutto il suo mondo. Come si può essere totalmente felici, vorrei sapere, se qualcun altro fatto a nostra immagine e somiglianza è confrontato con un simile dolore? Forse, unico spiraglio di luce nel buio pesto di questa tragedia, dice giusto Giobbe nel capitolo 37: "molte cose restano inaccessibili alla nostra (presunta) intelligenza". In effetti, se così fosse un giorno ci sarà una spiegazione, una risposta anche per ciò che adesso proprio non ce l'ha. Ma più che tutto la signora di cui sopra si ricongiungerà con suo marito e con il suo bambino.


martedì 17 settembre 2013

LA GIUSTA CORNICE

''Cambia l'intensità della luce e l'estate si fa sempre più lontana;
arriva settembre, portando con se venti d'autunno
che più in là ci chiuderanno dentro le case.
D'improvviso, quella canzone ascoltata milioni di volte è ormai passata.
Si fa strada una melodia più tranquilla, più consona, diversa: 
la giusta cornice per questi giorni in cui il melograno è maturo
e il vigore degli alberi pare in qualche modo venir meno.
Riaprono i cancelli delle scuole,
milioni di ragazzi tornano su libri che aiuteranno a forgiare il loro futuro
mentre chi già li ha letti attende speranzoso che i bagliori di Natale
rischiarino un po' l'atmosfera''.

"A Different room" è tratta dal nuovo album dei Travis, intitolato "Where you Stand".

venerdì 1 marzo 2013

FESTIVAL DI SANREMO 2013


Luciana Littizzetto (Torino, 29 ottobre 1964, Scorpione) e Fabio Fazio (Savona, 30 novembre 1964, Sagittario),
già collaudata coppia di Raitre in "Che tempo che fa", hanno confermato il buon affiatamento anche alla
conduzione dell'evento musicale italiano per eccellenza.
Contrariamente a quanto mi sarei aspettato, quest'ultimo festival di Sanremo è stato uno di quelli di cui effettivamente ci si ricorderà, se non altro per la conduzione di Fabio Fazio e Luciana Littizzetto. La strampalata coppia è infatti riuscita a mettere in piedi una manifestazione che potenzialmente aveva diversi punti di forza, primo fra i quali il fatto di poter presentare due canzoni per artista, una delle quali avrebbe poi avuto accesso alla finale. Pure valida la trovata di dedicare spazio ad alcuni mostri sacri del Festival, dicasi Toto Cutugno, Albano (per la verità di lui avremmo fatto volentieri a meno) e i Ricchi e Poveri, poi non intervenuti per l'improvvisa quanto sconcertante dipartita de giovanissimo figlio di Franco Gatti. Ad ogni modo Cutugno in particolare, ripresentando dopo 30 anni "L'italiano", ha ben reso l'idea della potenza di Sanremo: una gara dove le canzoni che riescono a sfondare entrano di diritto nell'immaginario musicale collettivo, diventando automaticamente degli evergreen. Peccato però che fra i brani presentati in questa edizione non ci sarà l'erede di tale pezzo, anche se abbiamo comunque ascoltato qualche discreta canzone, a partire dal vincitore Marco Mengoni, con "L'essenziale", passando per quanto proposto da Raphael Gualazzi, Max Gazzé, Maria Nazionale, Almamegretta. Per quanto concerne i risultati, un motivo di disappunto potrebbe essere invece rappresentato dalle giurie cosiddette 'di qualità', dove il voto di elementi come Eleonora Abbagnato rischia di avere un peso eccessivo, ma questo è il gioco del Festival: se vota il pubblico da casa i critici non sono contenti, se c'è la giuria di qualità non è contento il pubblico a casa, e se si trova l'escamotage di bilanciare il voto di entrambe le categorie, com'è accaduto quest'anno, finisce che a non essere contenta è quella fetta di gente che di musica ne capisce davvero qualcosa. Ma torniamo per un attimo alla trovata di far cantare due canzoni ad ogni artista in gara: nella maggior parte dei casi è curioso notare che a passare il turno (una delle due canzoni veniva infatti eliminata dopo un primo ascolto), sia stato proprio il pezzo più valido; solo per gli Almamegretta (con un bel brano dei Tiromancino) e per Annalisa il risultato andava assolutamente sovvertito. Pure buona cosa che l'autorevolezza di un nome fra gli autori non abbia automaticamente imposto il passaggio del brano, nel senso che al pezzo del compianto Lelio Luttazzi per Simona Molinari, piuttosto che a quello di Gianna Nannini per Marco Mengoni, sono state preferite le altre canzoni, decisamente più belle; nel caso di Mengoni poi, non c'era proprio storia: il brano presentato era ed è cento volte meglio. E infatti ha meritatamente vinto, grazie anche all'interpretazione ad effetto dell'affascinante e talentuoso Marco, che ha sfoggiato voce ed eleganza impeccabili incantando praticamente tutti, tranne i soliti detrattori che lo hanno ingiustamente bollato come cantante da reality e quindi automaticamente votato dalle ragazzine; niente di più sbagliato, anche per il fatto che Mengoni è uscito da "X-Factor", dove trionfò, da ormai quasi tre anni. Ma è troppo difficile per i soliti giornalisti che ormai fanno muffa all'Ariston dai tempi antichi dire che stavolta ha vinto il più meritevole: loro, quelli da cui il Festival dovrebbe davvero svecchiarsi, tifavano in massa Elio e le Storie Tese, tanto da fargli vincere l'ambito premio della Critica. Per carità, Elio è simpatico, ma le sue canzoni non aggiungeranno mai nulla al mercato, voglio dire: benché gli Elii siano ottimi musicisti, non è da dei pagliacci come loro che nascerà la canzone destinata a diventare uno degli evergreen sanremesi citati all'inizio del post! E sempre a proposito di evergreen: una menzione speciale la merita la bella serata del venerdì, dedicata alle canzoni ed ai personaggi che hanno fatto la storia del Festival; da "Almeno tu nell'universo" di Mia Martini, per l'occasione ricantata neanche così eccezionalmente dalla novella Chiara Galiazzo, fino ad arrivare agli stessi Elio e le Storie Tese i quali, con l'ausilio di Rocco Siffredi (sì, proprio lui), hanno riproposto "Un bacio piccolissimo". Bene anche Marta sui Tubi, con la sempre incantevole ex-Matia Bazar Antonella Ruggiero, esibitisi in "Nessuno" e gli Almamegretta, in una riuscitissima quanto coinvolgente versione reggae de "Il ragazzo della via Gluck" di Celentano. Uno spettacolo godibilissimo, e quando è arrivato il turno di rivedere i 'figli d'arte' che maldestramente presentarono l'edizione del 1989, i veri appassionati di Sanremo non hanno potuto che provare una grossa nostalgia: in quell'edizione, vinta da Oxa/Leali con "Ti lascerò", passarono infatti pezzi come "Cosa resterà degli anni '80" di Raf, "Canzoni" di Mietta, la succitata "Almeno tu nell'Universo" di Mia Martini, "Non finisce così" di Riccardo Fogli, "Rifarsi una vita" di Sergio Caputo, "Le ragazze come me" dei Meccano, "Il poeta" di Marina Arcangeli... insomma: tanti di quei gioielli musicali che a definire Festival della canzone quello di adesso ci sarebbe di che vergognarsi! Simpatico ed azzeccato comunque, come si diceva, il connubio Littizzetto-Fazio: lui in particolare quando si è lasciato andare a qualche riuscita imitazione, abbandonando per un attimo la compostezza che è solita contraddistinguerlo, lei quando ha avuto modo di fare battute non antecedentemente preparate. E a 'benedire' la loro conduzione, sul prestigioso palco, anche uno 'stinto' Pippone nazionale che in quanto a favella è più arzillo che mai! I soliti ospiti illustri hanno a loro volta salutato la marea di telespettatori che ha sancito il trionfo di quest'edizione (si parla di uno share con punte vicine al 50% per circa 13'000'000 di contatti): l'ormai internazionale Andrea Bocelli, la giovanissima pianista inglese Birdy, Asaf Avidan, lo sportivo di turno e persino l'ex première dame Carla Bruni, ormai tirata come un pollo allo spiedo. Se nei big ha trionfato Marco Mengoni, fra i giovani - che al solito si sono esibiti a tarda ora -  la vittoria è andata ad Antonio Maggio, con la cabarettistica "Mi servirebbe sapere"; tutto sommato era giusto così, ma non si possono non citare i brani "Le parole non servono più", de Il Cile (il cui testo è stato premiato come il migliore dell'interna Manifestazione) e/o quello di Andrea Nardinocchi, "Storia impossibile", non fosse altro che per l'ottima e modernissima struttura musicale. E sempre a proposito di 'moderno', in fin dei conti questo è l'aggettivo più indicato per descrivere l'edizione appena conclusasi: anche se forse fra gli artisti sono mancati i grandi nomi e le canzoni destinate a passare alla storia appartengono ad altre edizioni, lo spettacolo offerto è piaciuto un po' a tutti, giovani inclusi, e l'epilogo della gara è più che mai confermato dalla vendite dei dischi, visto che Marco Mengoni svetta primo nelle classifiche i-Tunes da ormai 15 giorni! Un ultimo appunto, che però ricorre già da qualche anno a questa parte: la stellare scenografia, pur elegantissima, mancava un po' di luce mentre sul palco, benché si fosse a Sanremo, non si sono visti i bei fiori che da sempre rappresentano il simbolo di questa città, e di conseguenza dell'adorato Festival!

La bella canzone "L'essenziale" di Marco Mengoni (Ronciglione, VI, 25 dicembre 1988, Capricorno),
trionfatrice assoluta di questa 63.ma edizione del Festival.


Almamegretta Mamma non lo sa - 6
Annalisa Scarrone Scintille - 4
Chiara Galiazzo Il futuro che sarà - 4
Daniele Silvestri  A bocca chiusa -
Elio e le storie tese La canzone mononota  -
Malika Ayane E se poi -
Marco Mengoni L'essenziale - 8
Maria Nazionale E' colpa mia  - 6
Marta sui tubi Vorrei - 5.5
Max Gazzè Sotto casa - 6
Modà Se si potesse non morire - 5
Raphael Gualazzi Sai (ci basta un sogno) - 7
Simona Molinari con Peter Cincotti La felicità - 5
Simone Cristicchi La prima volta (che sono morto) - 2


giovedì 3 gennaio 2013

IL JUKEBOX DI BRUNO MARS

"Unorthodox Jukebox" è il nuovo lavoro di Bruno Mars, che esce a poco più di due anni dal plurivenduto album "Doo-Wops & Hooligans (2010). Per tutti coloro i quali si aspettano un Mars dalla faccia pulita in perfetto stile "Just the way you are", va però detto che i toni spensierati del disco d'esordio sono stati abbandonati in favore di un sound decisamente black, supportati inoltre da un'immagine 'sciupata' che profuma di ghetti malfamati e non più di sorrisi e cuoricini. Le canzoni di questo disco sono comunque nella maggior parte dei casi favolose: si parte dal singolo di lancio "Locked out of Heaven", musicalmente e nella vocalità vicino allo stile dei Police, per poi passare a brani quali "Moonshine" e/o "Money make her smile" dove Mars - co-autore di tutti i pezzi che compongono il lavoro - per ispirazione ed interpretazione ricorda il miglior Michael Jackson. Benchè l'album sia da lui stesso stato intitolato (e quindi definito) una sorta di jukebox atipico e per l'appunto poco ortodosso, il comune denominatore che lo caratterizza è senz'altro un massiccio ritorno alle sonorità Motown di fine anni '70, del tipo George Benson o giù di lì. In un tripudio di bassi e batterie che regala un'emozione dopo l'altra, Bruno Mars mette a segno un gran bel colpo pubblicando un disco straordinario.

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Spetta a "Locked out of Heaven", già numero uno negli Stati Uniti,
il compito di lanciare l'ultima fatica discografica di Bruno Mars
(vero nome Peter Gene Hernandez, Honolulu, 8 ottobre 1985).

Tracklist:
 1. Young Girls
 2. Locked out of Heaven
 3. Gorilla
 4. Treasure
 5. Moonshine
 6. When I was your man
 7. Natalie
 8. Show me
 9. Money make her smile
10. If I knew




Sito ufficiale: www.brunomars.com